SUL DOPO 8 GIUGNO. RIFLESSIONI E PRATICHE IN CAMMINO

 “Se sei un uomo libero, allora sei pronto a metterti in cammino”

Henry David Thoreau

Dopo un corteo, apparentemente, sembra “semplice” fare un bilancio dell’iniziativa e ciò che attraverso essa si è prodotto. Nel nostro caso questo ci appare invece più complesso perché dobbiamo estrarre quella che è la manifestazione dell’8 giugno contro gli allevamenti di visoni da un’unica e continua progettualità che ci ha spinti a mobilitarci in questi mesi e a dar vita al coordinamento Liber*Selvadec.

Cominciamo con la necessità di condividere quello che per noi ha significato questa manifestazione. Un momento molto importante ma non sicuramente l’apice o l’arrivo della nostra progettualità. Piuttosto, una delle tappe lungo il percorso.

La manifestazione è stata un terreno dove sperimentare delle pratiche e sperimentarci attraverso queste; un terreno per l’analisi di quello che rappresentano questi allevamenti, localmente e non solo. Di come questi allevamenti s-velano le ampie catene e meccanismi dello sfruttamento attraverso le quali i viventi vengono distrutti, silenziati, manipolati, quindi annientati.

Non abbiamo voluto distinguerci a tutti i costi da qualcuno o da qualcosa con una critica che, come spesso avviene, rimane poi fine a sé stessa. Come abbiamo detto in questi mesi, nelle nostre presentazioni in giro per l’Italia, non esistono parole-chiave, soprattutto se slegate dai contesti situati. E, il nostro richiamarci al movimento di liberazione animale, cerca anche di andare oltre un uso parziale dei contenuti che esso esprime. Di fatto, troppo spesso, le pratiche agite in nome dello stesso movimento di liberazione animale smentiscono il reale riferimento allo stesso.

Come coordinamento, sentiamo l’esigenza e abbiamo intenzione di lavorare sui contenuti che stanno nell’ombra delle parole-chiave che vengono utilizzate e spesso svuotate fino a produrre ambiguità. Nello specifico, scegliamo di muoverci nel campo di come e cosa sia da intendere l’antispecismo. Non tanto per ri-definire o creare una “nuova” teoria da aggiungere a quelle esistenti, piuttosto per tentare di dare un senso al tutto; per tentare di rivoltare  i pensieri e le pratiche affinché le singole e specifiche lotte trovino sì risonanza in una modalità radicalmente altra di azione.

Se è vero che desideriamo e agiamo affinché la parola e l’azione non vadano slegate; anche per quanto riguarda le pratiche abbiamo deciso di agire di conseguenza, intraprendendo un percorso più tortuoso e decisamente poco battuto e per questo anche libero e creativo. Un laboratorio di liberazioni.

Il fatto di aver organizzato la manifestazione a Bergamo e non direttamente nei paesi interessati dagli allevamenti ha voluto dire, per noi, cercare di realizzare e costruire un momento di interazione tra tutte e tutti coloro che sentono l’urgenza di riconnettere le parole e le pratiche per le liberazioni animali. La scelta è il frutto della volontà di dare risonanza a questi fatti (l’apertura degli allevamenti di visoni e i progetti che vanno in questa direzione) evitando mediazioni e progettualità che sentiamo distinte e distanti dalle nostre. Non abbiamo voluto costruire una mobilitazione virtuale dove la sostanza è costruita dalla mera apparizione e dallo spettacolo della sua rappresentazione, dove l’obiettivo che ci si pone, la chiusura degli allevamenti, è spettacolarizzato da immagini truculente che ci chiediamo se riescano ad andare oltre la dimensione emotiva. Rifiutiamo a priori di considerare i nostri interlocutori come meri destinatari di una strategia efficace, da plasmare e manipolare secondo le caratteristiche del momento. Non ci riferiamo a consumatori o a quello strano essere che è l’utente, ma a persone con le quali confrontarci e liberar-ci. Se ci troviamo sempre più  immersi in una società dove le relazioni si spostano sempre più su un piano virtuale, mistificate e mediate dalla tecnica, e rette sul silenzio e sui non-detti, noi preferiamo restare indietro. In quello spazio dove ancora si considera fondamentale interrogarsi continuamente sul senso di quello che facciamo e soprattutto sul come sia impossibile ottenere le liberazioni animali all’interno di questa società che si fonda su logiche antropocentriche ed ecocide e che legittima così  i suoi rapporti di dominio.

Restare indietro non significa perdere di vista il traguardo o temporeggiare. Per noi significa cercare di renderlo più chiaro: il traguardo non è solo un risultato, la fine di un percorso, un obiettivo raggiunto. Piuttosto un costante laboratorio di liberazioni, un continuo camminare.

Bergamo, 8 Luglio 2013