“Noi vogliamo parlare per coloro che sono non rappresentati. Il più grande denominatore comune per tutti è l’espressione di un’etica inglobante i più deboli. La questione non interessa nessuno, perché si tratta di un non potere, di una non parola …”
Le Pigeon Voyageur
Il laboratorio è uno spazio e una modalità che, nel doppio senso del termine, ci interroga. Infatti, laboratorio è uno degli spazi-emblema dello sfruttamento animale: una chiara e netta immagine che colonizza gli immaginari e le pratiche stesse. Spazio-emblema nel quale il vivente è manipolato fino a trasformarlo in una docile cavia ad uso del laboratorio sociale. Spazio fisico che è anche uno spazio mentale: un modo di pensare le relazioni con le altre e gli altri animali. Spazio-emblema che veicola, legittima e riproduce catene di sfruttamento.
Nella scelta di usare questo termine ambiguo, la netta presa di posizione di decostruire e togliere dall’ombra l’idea, il progetto di un laboratorio come spazio, luogo di relazioni nel quale più individui si mettono in gioco, si attivano, si fermano, riflettono, agiscono: si liberano e liberano.
Forse così e in questo senso può essere intesa la nascita e la determinazione del Coordinamento Liber*Selvadec: un tentativo di soffermarsi e di pensare in maniera altra il parlare e l’agire.
Un tentativo di riflettere sulle dinamiche di produzione e continue legittimazioni delle forme di sfruttamento dell’uomo sulla Terra, dell’uomo sull’uomo, dell’uomo sugli altri animali.
Di fatto, essere qui, ora, nello spazio di un corteo contro l’apertura degli allevamenti di visoni ci permette di manifestare il bisogno di analizzare e approfondire come le “crisi”, delle relazioni animali, sociali, politiche ed economiche si siano ormai fatte sistemiche. Crisi che si alimentano e producono svuotamento di senso e di significati anche di ciò che accade nei “nostri” quotidiani, nelle “nostre” scelte, nei “nostri” territori.
Senso che ci interroga fin dalle radici: le interconnessioni tra le forme di dominio e le molteplici possibilità di resistervi.
Non casualmente, la “crisi”, al singolare, diventa il discorso attraverso il quale non si osserva e produce una reale e sostanziale fine delle catene di sfruttamento bensì un paravento che le rilegittima. E, quando sono coinvolti anche gli altri animali, questo si fa più che mai evidente.
Questo è il modo in cui interpretiamo il progetto che, anche nella provincia di Bergamo, vuole avvallare l’apertura di due nuovi allevamenti di visoni: presunta risposta alla “crisi” che non fa altro che esplicitare come le crisi si alimentino e si auto legittimano degli sfruttamenti che esse stesse generano. Nei fatti, quello che sta accadendo ad Antegnate e quello che è già accaduto a Misano Gera d’Adda, possono essere letti come i sintomi e i segnali del perdurare di una visione antropocentrica che si intreccia con le pratiche di un continuo rimodellamento della società tecno-industriale che, nel deumanizzare i rapporti con la Terra e tra gli animali, umani e non, ben si allontana dall’idea di de-umanizzare le relazioni in prospettiva di decostruzione e scardinamento radicale dell’antropocentrismo stesso. Ad Antegnate, nello stallo di richieste di autorizzazioni e di concessioni, la situazione ci spinge a mobilitarci affinché si fermi l’apertura stessa dell’allevamento. A Misano Gera d’Adda invece, nel silenzio della pianificazione, ora i visoni già sono rinchiusi nelle gabbie. Numeri oscillanti che non per questo riducono la gravità della situazione. Gravità che pone l’attenzione sulla strategia messa in campo dall’Associazione Italiana Allevatori di Visoni (AIAV) diretta dal signor Boccù. Questa strategia locale, già estesa alla provincia di Cremona, è quella di promuovere l’affiancamento degli allevamenti di visoni a quelli già esistenti di altri animali. Strategia che svela la sua insidiosità anche per il fatto di far leva su una “tradizione” cristallizzata la quale trova il suo concretizzarsi anche nella provincia bergamasca vista come luogo e modello “autorizzato” all’ospitalità e alla riproduzione delle catene di sfruttamento. Catene che parlano di un sostanziale tradimento delle relazioni con la Terra. Catene che parlano di una radicale manipolazione delle relazioni tra uomini e altri animali. Si produce così, nei metodi e nei discorsi, una pericolosa frammentazione dei territori geografici e relazionali: gli allevamenti si diffondono a raggiera attorno a quello di Capralba (CR), uno dei maggiori allevamenti italiani di visoni, di proprietà del signor Boccù che ispira e si appresta a gestire il nuovo indotto dello sfruttamento e annientamento attivo anche nella bergamasca. Annientamento e un grido lacerante, quello dei visoni, che non possono lasciarci indifferenti.
Dal laboratorio di sfruttamento a laboratorio di liberazioni che, nell’essere declinate al plurale, dalla situazione contingente degli allevamenti di visoni, già estende lo sguardo e le riflessioni prendendo esplicite posizioni in vista delle liberazioni animali. Liberazioni che, prescindendo dalle logiche di potere, trovano la forza e la determinazione delle parole e dell’agire, nella comunanza del non essere rappresentati.
Questa visione d’insieme porta l’impegno e l’urgenza di riappropriarsi delle parole e del loro senso silenziato, per riscoprire il nostro essere e sentire animale e l’appartenenza alla Madre Terra.
Per costruire una mobilitazione che faccia propria la concordanza tra la parola e l’azione!
Coordinamento Liber*Selvadec
Bergamo, 8 giugno 2013
Per contatti:
mail: liber.selvadec@autistici.org
sito: www.selvadec.webnode.it
Stampato in proprio. Via delle Libertà, Capralba (CR).