Il 14 e 15 ottobre a Bergamo si svolgerà il G7 agricoltura, un teatrino del consenso in cui i “potenti” della terra sventoleranno i colori verdi della sostenibilità, dell’agricoltura biologica, delle produzioni piccole e locali, a km 0. Quello che succede e succederà concretamente, non deciso esclusivamente in questo vertice, è gettare tra le fameliche fauci del mercato globale i piccoli produttori agricoli, i territori, le popolazioni, gli ecosistemi naturali continuando così ad alimentare e sostenere l’agribusiness.
Il sistema tecno-industriale non può essere sostenibile per sua stessa costituzione.
Il fatto di tingersi di verde fa parte della necessaria veste con cui il potere si presenta in queste occasioni ufficiali: il verde rappresenta il modo con cui può coprire e giustificare nefandezze di ogni tipo. Se il G7 agricoltura si svolge a Bergamo lo dobbiamo al ministro dell’agricoltura Martina. Anche lui, originario di questi territori, forse desidera sentirsi a “km 0” come le culture agricole che non ha mai visto, ma di cui gli piace narrare la storia ad ogni convegno. Recentemente ha dichiarato che la sua volontà, sostenendo vertici come il G7, è “dare voce a contadini, allevatori e pescatori di ogni parte del mondo per affrontare insieme questioni fondamentali”. Come possiamo pensare che la voce dei contadini possa avere un peso di fronte a poteri forti come le istituzioni politiche, scientifiche e le compagnie multinazionali? L’unica cosa che questa affermazione implica, secondo noi, è piuttosto la creazione di nuovi enti e poteri i quali, mentre affermano di rappresentare le persone, schiacciano ogni residuo di autonomia rimasta e immettono nuove nocività certificate dall’organismo competente di turno. Quando non ci prendiamo ciò che vogliamo ma deleghiamo un qualche rappresentante non acquistiamo libertà, cambiamo semplicemente padrone. Quando questi poteri dicono che vogliono cooperare con tutti i soggetti interessati significa che non gli basta più sfruttare ma vogliono che le persone, sempre più atomizzate, partecipino al proprio sfruttamento su base volontaria: ecco il trionfo della democrazia e dei principi progressisti! Questi nuovi poteri/padroni vengono così accolti da quelli vecchi nelle stanze dei palazzi e insieme, si spartiscono quello che resta di un mondo sempre più allo sfascio. L’erosione genetica dalle colture agricole si è ormai trasferita nelle menti sempre più intossicate da questo sistema tecno-scientifico il quale da una parte distrugge la vita e dall’altra promette di “rifare” la natura in laboratorio attraverso le biotecnologie e, oggi, anche con le nanotecnologie, in una convergenza che ci ha portato fino alla biologia sintetica. Di questo scenario è indispensabile fare qualche esempio per comprendere cosa sia quel “mondo verde” della tecnoindustria che tanto piace ai promotori del progresso illimitato. Staremo anche noi a “Km 0”! A Stezzano (BG) ha sede il centro di ricerca genetica sulla cerealicoltura nel quale scienziati manipolano il DNA delle piante di mais per poi introdurle nel circuito agricolo. Questo significa che oggi l’agricoltura è strettamente subordinata a chi controlla i brevetti e che, come già accade in numerose zone del mondo, gli antichi e diffusi saperi vengono soppiantati dal nuovo verbo scientifico: anche se i semi della “rivoluzione verde” non hanno fatto alcun miracolo, ci penseranno quelli ibridi, manipolati geneticamente e col CRISP ( “Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats”, evoluzione tecnica di manipolazione genetica) In vaste zone del pianeta i contadini subiscono il controllo, l’arroganza e la violenza delle grosse multinazionali come Monsanto che impongono le loro regole, in primis attraverso trattati commerciali che legittimano anche la repressione. La “possibilità” di scelta è una mera chimera: l’unica scelta è tra le pagine dei loro cataloghi… È questo che i potenti del G7 vogliono: un mondo in cui le persone, ed in particolare chi produce cibo a partire dalla piccola agricoltura vengano spogliate da ogni autonomia; un mondo in cui i cartelli dell’agrobusiness siano proprietari del DNA degli esseri viventi. Un mondo totalmente artificializzato dove campo sperimentale e laboratorio diventano la nuova società, con un’unica condivisione di rischi e benefici. “Nuova” società nella quale chi è sacrificabile al mercato o al dio progresso arriva sempre dalla stessa direzione: gli sfruttati e sfruttabili di ieri e di oggi. Quando queste manipolazioni entrano fin dentro i corpi possiamo facilmente renderci conto, senza bisogno di essere tecnici o esperti, del grado in cui il potere ha colonizzato ogni sfera del vivente. Altro esempio: a Grassobbio (BG) ha sede la multinazionale israeliana chimica Adama che produce e commercializza i veleni usati nelle nostre campagne tra i quali uno dei più dannosi ed anche il più diffuso: il glifosate. Aziende come queste fanno sì che l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo e i cibi che mangiamo siano cocktail micidiali di molecole prodotte in laboratorio. Gli effetti nefasti dei veleni sugli organismi viventi sono tanti: malformazioni genetiche, desertificazione, fino alla morte di animali, piante e di interi ecosistemi. Un’altra sgradita eredità di questa guerra contro la natura è il cambiamento climatico. Ovviamente anche una compagnia come Adama non poteva non avere il suo corredo di menzogne e retoriche ambientaliste: infatti commercia anche “verdi” prodotti biologici! Questo è il significato di biologico per l’industria agroalimentare: una nuova area di mercato. Nulla di più lontano dalla sensibilità e cultura di chi ancora si produce il cibo senza uso di veleni. Come è possibile che l’economia e il capitalismo siano sostenibili? In altre parole, come è possibile che sfruttamento e accumulazione infinita in un pianeta finito siano sostenibili? È questo che fa l’economia: assorbire tutto ciò che può e metterlo a profitto. Ci sembra sia lo stesso processo che sta avvenendo per la maggior parte delle produzioni di agricoltura biologica: cosa è infatti un prodotto naturale? Al di là di ciò che contiene, dei suoi metodi di coltivazione e produzione, è attualmente parte di una forma astuta di marketing, la stessa che si è appropriata del prefisso “eco” per venderci i soliti veleni. I corpi umani e degli altri animali così come l’ambiente che ci circonda sono saturi di questi veleni e il modo migliore per continuare a propinarceli, oltre al ricatto economico, è appunto con l’inganno di un’immagine rustica e bucolica, verde e naturale. Per promuovere il loro modello di mondo i vari G7, Expo, hanno bisogno di personaggi come Martina e di tutti coloro che hanno visto nel biologico e nell’industria della gestione della nocività la nuova possibilità di andare avanti e macinare profitti. Per rispondere anche a questa esigenza, a Bergamo è da poco stato creato il “bio-distretto” che, al di là dell’immagine che propaganda di sè, come ente che promuove sostenibilità, non è affatto il naturale approdo a cui giungono le piccole realtà agricole che da anni, a Bergamo e altrove, sono realmente impegnate in progetti dove non si usano veleni di nessun tipo e che vorrebbero invece portare una critica al modello dominante di produzione del cibo. Cosa sia in realtà il bio-distretto ce lo dice di nuovo il ministro Martina che, intervenuto all’inaugurazione di questo ente avvenuta il novembre scorso nel palazzo della Provincia, affermava che il “bio-distretto sarà il passepartout per il G7 agricoltura”. Cosa sia e come funzioni si evince anche dalla conferenza organizzata dal bio-distretto stesso a metà giugno a Bergamo: sono stati chiamati a tener banco tutta una schiera di associazioni di categoria, tecnici, presidenti, sindaci, assessori che in vario modo hanno continuato a sbandierare questa “attenzione alle piccole produzioni e all’economia dal basso”. Ma dove erano allora i piccoli produttori? Ovviamente non potevano esserci perchè certi contesti quando parlano di piccolo hanno in mente l’intensivo, quando pensano all’innovazione sognano parchi tecnologici e incubatori di imprese e se parlano di biologico stanno già pensando come avvelenare, a norma di legge, con produzioni “biologiche” che magari arrivano dalla Romania. Di riflessioni da fare ce ne sarebbero moltissime e ci auguriamo che ognuno ricominci a farle con la propria testa e confrontandosi con gli altri. Pensiamo infatti che invece di proporre “formule magiche” per il cambiamento come fanno gli specialisti del dissenso e della politica sia, oggi, importante ricominciare dalla critica radicale a questo mondo per iniziare a disintossicarsi da tutte le nocività che ammorbano i corpi e le menti. Pensiamo sia importante rendersi conto che viviamo in una condizione di evidente dipendenza da questo sistema e che, se è il suo abbattimento che vogliamo, dovremo ricominciare ad agire concretamente, ogni giorno, cercando di strappare sempre più spazi di libertà e di autonomia. Colonizzando con i suoi messaggi ogni canale informativo, il sistema fa spesso credere a tutti noi che non ci sia nessuna possibilità di vivere e pensare un mondo radicalmente diverso. Una cosa è certa, un’altro mondo è si possibile, ma dobbiamo sbarazzarci prima di questo. Chi ci dice che è possibile coabitare con questo esistente fatto di sfruttamento, magari parlandoci di etichettatura, metodo precauzionale, tracciabilità e sicurezza rappresenta spesso l’impostore che non ha intenzione di cambiare nulla ma semplicemente cerca una nicchia etica e solidale dove sistemarsi e annidarsi.
Con questo coordinamento di persone critiche contro il G7 vogliamo provare a ridare senso a quello che sono questi incontri ufficiali e smascherare chi da questi incontri trae profitto per continuare a mantenere le cose come stanno, dichiarandosi oppositore ma, concretamente, sostenendo e servendo sempre i poteri alti e forti. Il nostro percorso di critica e lotta non inizia con il G7 agricoltura e sicuramente non finirà con il vertice di ottobre qui a Bergamo. Pensiamo sia importante tornare a mobilitarci in prima persona e costruire percorsi critici che possano passare anche dalla produzione di cibo dal basso, con terra non avvelenata e autoproduzioni, piccoli mercatini slegati dalle regole e dalle certificazioni del bio-industriale, fino a momenti di opposizione all’avvelenamento in corso, per esempio contro i pesticidi, gli OGM, le monocolture industriali… Non vogliamo essere un’alternativa, non abbiamo niente da sostituire e contrabbandare in questo mercato: l’alternativa alla guerra non è la pace, piuttosto un mondo dove le premesse stesse per cui una guerra è possibile siano scardinate alla radice.
Assemblea ecologista “Le Ortiche”
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